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POZZUOLI Itinerario Paolino

Il Cristianesimo penetrò a Puteoli, mentre erano ancora in vita i maggiori artefici dell'evangelizzazione dell'Occidente, testimoni diretti della predicazione di Gesù. La notissima testimonianza degli Atti degli Apostoli è la più nobile ed esaltante:
"Il giorno seguente si levò lo scirocco e così l'indomani arrivammo a Pozzuoli. Qui trovammo alcuni fratelli, i quali ci invitarono a restare con loro una settimana. Partimmo quindi alla volta di Roma" (Atti degli Apostoli 28, 13-14)
Paolo sbarca a Pozzuoli nel 61 d. C. condotto al carcere da Festo, governatore della Giudea, si era appellato al tribunale di Nerone. Entrando nel golfo partenopeo attraverso le Bocche di Capri, Paolo poté ammirare
la mole della villa Jovis e delle altre residenze imperiali di Augusto e di Tiberio. Il porto di Pozzuoli era diventato importante in epoca romana. Storicamente la città era stata fondata nell’insenatura occidentale del golfo di Napoli e nel cuore della regione flegrea, da profughi greci di Samo, sfuggiti alla tirannide di Policrate, che le diedero il nome politicamente augurale di Dikaiarchia (luogo ove regna la giustizia). Ma furono soprattutto i Romani che, dopo la loro espansione in Oriente, sentirono la necessità di avere un porto aperto ai traffici con i maggiori scali della Grecia, della costa anatolica, della Siria e dell’Egitto. Fu così che Puteoli divenne l’approdo più importante e il porto mediterraneo di Roma.
E ciò spiega anche perché sbarchi qui la nave di San Paolo. Per la città verrà poi la crisi, causata dal bradisisma che fa sprofondare il litorale. La nascita dei nuovi porti di Roma alla foce del Tevere si ripercuoterà sull’economia di Puteoli che si ridurrà a un piccolo villaggio di pescatori.
Per capire la vita della Puteoli romana e come essa si presentasse agli occhi dell’apostolo, è utile visitare il Rione Terra. Questo quartiere fu soggetto a un forte bradisismo che ne danneggiò molto la struttura urbanistica e ne provocò la totale evacuazione nel 1970. I successivi lavori di messa in sicurezza e di restauro urbano hanno riportato alla luce il cuore dell’acropoli romana, ambienti un tempo sub divo e poi coperti dall’edilizia medievale. Si seguono i basoli di roccia vulcanica del decumanus maximus sotto il palazzo De Fraja, s’incrocia ad angolo retto uno dei cardines minori, rinvenuto al di sotto del Vescovado e di Via San Procolo, si cammina sotto i criptoportici e si osserva ai lati della strada la successione delle tabernae risalenti ad età augustea. A Puteoli, come in tutto mondo romano, l’attività del commercio al dettaglio e delle piccole attività artigianali si concentrava nell’estesissima rete di botteghe (tabernae) i cui allineamenti regolari, fronteggianti per lunghi tratti tutte le vie principali, rappresentano una delle caratteristiche dell’urbanistica antica. Gran parte di esse erano adibite alla ristorazione. Le osterie, le mescite, i ristoranti (cauponae, thermopolia) erano diffusissime in un centro a vocazione commerciale come Puteoli, frequentato per secoli da uomini di razze diverse. Oltre alla consumazione di zuppe di cereali, di pasti caldi e di vino al dettaglio, i clienti potevano intrattenersi giocando ai dadi, assistendo a spettacoli di musici e ballerine o scendendo nei lupanari. Uno dei locali meglio conservati è il pistrinum di Aulus Pistor, una panetteria a ciclo completo. Il Macellum Magnum dell’antica Puteoli, noto comunemente come Tempio di Serapide, è il più tipico esempio del mercato d’una città antica. Sorge sul luogo ove avevano sede i precedenti mercati, come il forum holitorium, dove si vendevano i legumi, il forum boarium dove affluiva il bestiame grande e piccolo e il macellum, dove si vendevano prodotti di ogni sorta. Costruito negli anni immediatamente successivi all’arrivo del Santo, il Macellum Magnum testimonia il continuo flusso dei rifornimenti portato dalle navi annonarie provenienti da tutto il Mediterraneo. L’edificio a pianta quadrata, con il suo ingresso principale aperto dal lato della banchina del porto, racchiude una corte centrale porticata intorno alla quale è disposta una fila eguale di tabernae sui lati lunghi. Gli ambienti più profondi ai lati dell’emiciclo erano destinati alla vendita di carni e di pesce, mentre le due spaziose sale alle opposte estremità, bene arieggiate e munite di banchi marmorei forati da canali di scolo e di un vestibolo d’ingresso che ne occultava la vista dall’esterno, erano sontuose e igieniche latrine. San Paolo ha anche ammirato sul promontorio di Pozzuoli il tempio eretto dal ricco mercante Calpurnio in onore dell’imperatore Augusto, nel quadro della generale ristrutturazione del Capitolium dovuta a Lucio Cocceio Aucto, geniale architetto e ingegnere romano, originario di Cuma. Il tempio fu poi inglobato nella cattedrale cristiana eretta in onore del protettore di Pozzuoli San Procolo. Ma tornò sorprendentemente alla luce dopo l’incendio del 1964 che devastò la navata del duomo. I lavori di restauro, iniziati nel 2006 a seguito di un concorso internazionale di progettazione, e conclusi nel 2014, fanno oggi del duomo di Pozzuoli un unicum nel mondo dell’arte e dell’archeologia. Fonde infatti l’arte cristiana, rappresentata dalla chiesa barocca progettata da Bartolomeo Picchiatti, con l’antico tempio romano su cui poggia (e in parte ingloba), costruito nel primo secolo dopo Cristo, di cui si ammirano le maestose colonne corinzie della facciata e le pareti in marmo e cristallo.
L’Anfiteatro Flavio è il monumento romano più famoso di Pozzuoli. Costruito nel primo secolo, sorge là dove confluivano le principali vie della regione, la Via Domitiana e la via per Napoli, in sostituzione dell’antico edificio per spettacoli di età romana repubblicana divenuto insufficiente a causa dell’enorme crescita demografica di Puteoli. L’anfiteatro, in quanto a capienza, era inferiore in Italia solo al Colosseo e a quello di Capua. Dal portico esterno partivano venti rampe di scale che permettevano di raggiungere il settore più alto delle gradinate. Corridoi anulari interni permettevano, altresì, l’ordinato afflusso degli spettatori alla cavea attraverso i vomitoria (varchi di accesso aperti lungo le gradinate). Analoghi corridoi servivano anche gli impressionanti sotterranei. Il nome latino di Puteoli richiamava i ‘piccoli pozzi’ e alludeva alla grande quantità d’impianti termali alimentati dalle acque del sottosuolo dei Campi Flegrei.
Il più celebre di questi affioramenti nei campi ‘ardenti’ è la Solfatara di Pozzuoli. Qualcuno ha suggerito, un po’ per celia ma con un fondo di realismo, che le giornate trascorse da San Paolo a Pozzuoli siano anche servite a curarsi con le acque termali i reumatismi provocati dai suoi naufragi e dalla lunghe permanenze in mare. A Puteoli una moltitudine varia e poliglotta affollava il quartiere dell’emporio marittimo, vi stabiliva aziende (stationes) di commercio e di trasporto; vi formava corporazioni professionali di arti e mestieri e associazioni religiose professanti i culti della loro patria d’origine e della loro fede: Greci delle isole e della costa d’Asia, Tiri ed Eliopolitani, Ebrei e Cristiani, Nabatei ed Etiopi. A Puteoli si veneravano tutte le divinità, a cominciare dal culto imperiale nell’Augusteum. A Vulcano era sacra la Solfatara. Apollo era evocato dai vaticini della vicina Sibilla di Cuma. Altre divinità greche molto venerate erano Poseidone, dio del mare, Demetra, dea delle messi, Esculapio, divinità guaritrice con le acque flegree. Gli egiziani avevano alzato le statue di Serapide e di Anubis dentro al Macellum. Gli asiatici veneravano Cibele, Mitra e Giove Dolicheno. I commercianti siriani evocavano i Baal delle loro città di origine. La storia della comunità cristiana di Pozzuoli, anche nei suoi rapporti con gli Ebrei convertiti, è raccontata nel Museo Diocesano, aperto nel 2016 nei locali del palazzo vescovile attiguo alla cattedrale. Sotto gli occhi del visitatore sfilano pezzi di archeologia, dipinti, statue, arredi liturgici, oreficerie, un frammento scolpito del candelabro duecentesco per il cero pasquale fino alle arti minori come la presepistica. Nella pinacoteca si segnala un dipinto del Seicento napoletano dovuto al pittore Cesare Fracanzano. Raffigura San Paolo che, durante la prigionia, scrive la lettera a Filemone e la firma “ego Paulus scripsi mea manu”. Pur nella sua brevità questa lettera paolina a Filemone, cristiano molto in vista nella comunità di Colosse, è importante perché afferma che nella comunità cristiana gli schiavi hanno pari dignità con i loro padroni e gli altri fratelli nella fede, superando la concezione antica della schiavitù. Terminata la settimana trascorsa a Pozzuoli, Paolo con il suo carceriere prende la strada di Roma. La rete stradale extraurbana di Puteoli seguiva la naturale conformazione dei luoghi e le particolari esigenze del traffico marittimo: la via Herculea litoranea, oggi completamente sommersa nel tratto fra Baia e Pozzuoli, che ebbe il suo diretto collegamento con Napoli con la perforazione della collina di Posillipo (crypta neapolitana); la via Antiniana sboccante lungo la cornice superiore dei colli sul versante del Golfo di Napoli; e al quadrivio superiore tra l’anfiteatro flavio e lo stadio (quadrivio dell’Annunziata), ove sembra funzionasse un ufficio di controllo per le merci di transito (pondera), l’incrocio di quelle che furono le vere arterie del traffico marittimo con il retroterra: la via Consularis Puteolis Capuam che traversava la conca di Quarto e conduceva a Capua (Vetere) e da Capua per l’Appia a Roma, e la via Domitiana, aperta nell’anno 95 che, per la Campania marittima (Cuma, Liternum) e la foce del Volturno, incontrava più direttamente l’Appia a Sinuessa (presso Mondragone). È realistico ipotizzare che Paolo abbia seguito la via di Capua – detta Campana – che all’epoca era regolarmente funzionante, oggi visibile all’uscita da Pozzuoli. L’altra strada, la Domiziana, era ancora troppo degradata e sarebbe stata resa agibile solo una trentina di anni dopo. Uscito da Pozzuoli e seguendo il percorso della Via Campana, Paolo incontra le necropoli e i mausolei che si allineano ai lati della strada fino a Quarto. La prima necropoli è quella romana di Via Celle, databile tra il primo e il secondo secolo. Oggi la Via Celle si diparte dalla piazza Capomazza, mentre la necropoli diventa visibile subito dopo il sottopasso della ferrovia. Dell’area sepolcrale è stato individuato un gruppo di quattordici mausolei funerari, cosiddetti colombari, attualmente recintati. A questi monumenti si aggiunge un edificio interpretato come collegium funeraticium, (associazione i cui membri di modesta condizione, aggregandosi, potevano assicurarsi con poca spesa una sepoltura decorosa) caratterizzato da una pianta rettangolare sviluppata attorno a un cortile, al centro del quale fu eretto un mausoleo. Dalla necropoli di Via Celle si prosegue sull’antico basolato della Via Campana Vecchia. La strada non ha protezioni per i pedoni ma è poco trafficata. Dopo aver superato il viadotto della Tangenziale prende il nome di Via San Vito e conduce alla cappella dedicata al santo e alla vasta necropoli omonima, visibile sulla destra. Sono stati scavati gli ultimi sei edifici, di cui erano in vista le sole facciate, del tutto occultati dal materiale colluviale disceso dalla collina del cratere di Cigliano. Tutti comprendono una camera ipogea, sulle cui pareti si dispongono più file di nicchie destinate ad accogliere le olle per contenere le ceneri dei defunti, con banconi laterali spesso riutilizzati per più tarde formae (sepolture a fossa per inumazioni), ed un piano superiore dotato di un recinto retrostante provvisto talora di una camera funeraria avente le stesse caratteristiche degli ambienti sotterranei. Il successivo incrocio è presidiato da un imponente mausoleo della seconda metà del primo secolo in opus latericium, a basamento quadrato con sovrapposto tamburo cilindrico; le pareti esterne sono decorate da partiti architettonici.

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